Le tre cime di Lavaredo viste dal rifugio Locatelli
Il giro delle Tre Cime di Lavaredo era una di quelle tappe che incredibilmente ancora mi mancava. Così, quando in una afosa serata di luglio Laura mi ha provocato, non c’è voluto molto per organizzare.
Alle Tre Cime si può salire da tante strade. Noi decidiamo per il giro più bello, ed anche il più faticoso. Saliamo dalla val Fiscalina, sopra Sesto in val Pusteria, un giro che richiede tutta la giornata.
Dalla Val Fiscalina, il sentiero è là in fondo, a destra lungo la montagna
La giornata promette bene sin da subito, se è così alla partenza, immaginiamoci in cima. Un giro impegnativo, bisogna essere un po’ allenati, ma ne vale assolutamente la pena. Dai 1.400 metri del parcheggio, si sale ai 2.400 del rifugio Locatelli, ci vogliono un paio di orette, salendo di passo deciso (oltre tre ore secondo i cartelli).
In fondo valle c’è tanta gente, man mano che si sale la gente scompare e iniziano i pensieri (ah, perché non me ne sono stato sul divano a vedere il Gran Premio…).
Il bello di camminare in montagna è che più cresce la fatica, più cresce la sintonia con l’ambiente attorno a te. Immergersi nel paesaggio, guardarsi attorno, ascoltare il mormorio del ruscello, osservare i fiori colorati che si fanno più radi man mano che si sale, diventa naturale tanto quanto il fiatone che ti costringe a rallentare il passo. Così diventa impossibile non notare il paesaggio che cambia, il verde che lascia gradualmente spazio al bianco della dolomia, e scattare una foto diventa la scusa buona per dare un attimo di tregua al corpo in difficoltà.
E poi c’è la sorpresa che può scattare da un momento all’altro, come quando improvvisamente il sentiero si allarga e ci sono delle cime in lontananza. Che siano le Tre Cime? Non è che le riconosco, è che ci spero, vorrebbe dire che la prima parte della salita è terminata.
A destra, spuntano le Tre Cime
Sono proprio loro, e mentre mi avvicino penso che me le sono meritate, che ne valeva la pena, che è un paesaggio magico e sono felice.
Scusate l’intrusa, ma se siamo venuti è merito di Laura.
La vista dal rifugio Locatelli è puro spettacolo. È la cartolina dell’Alto Adige e delle Dolomiti tutte, un luogo simbolo, le tre pareti verticali incombono rassicuranti e terrificanti allo stesso tempo, a ricordarci della bellezza e della pericolosità della montagna, da amare e rispettare, senza mezze misure.
Siamo sul versante altoatesino, ora ci aspetta il giro. Sono una decina di chilometri, con un moderato saliscendi, e con paesaggi straordinari. Decidiamo per il verso antiorario, che quello orario è un po’ troppo trafficato. Una fila ininterrotta di persone sta infatti percorrendo la forcella Lavaredo che porta dritta al versante veneto (nella foto, la forcella a sinistra delle Tre Cime, proprio dietro Laura).
Il sentiero scende e sale fino a Langalm, la Malga dei Pastori, un posto meraviglioso dove è impossibile non fermarsi. Uno di quei posti dove dici: “ci fosse il ruscello sarebbe il paradiso”, e poi guardi bene e in effetti c’è pure il ruscello, ed infatti è il paradiso. È uno di quei posti dove non conta quanto sei stanco, non conta se hai pensieri per la testa, se fa caldo o fa freddo, perché stai bene, in pace con te stesso.
Ripartire è difficile, ma necessario. Tempo mezz’ora svalichiamo e entriamo sul versante veneto delle Tre Cime.
E la musica cambia subito. Siamo in alta montagna, il percorso per quanto semplice è escursionistico, adatto a persone preparate, attrezzate ed allenate. A queste quote si deve avere conoscenza di quello che può succedere, della rapidità con cui possono cambiare le condizioni meteo, di come un percorso anche semplice possa nascondere sempre qualche insidia. Un luogo di montagna, dove ti aspetti montanari, insomma.
Invece ti ritrovi questo.
Al rifugio Auronzo, a 2.320 metri di quota, c’è una strada a pagamento, ed un orribile enorme parcheggio, con quasi mille posti tra auto e moto, camper e pullman. E frotte di persone che pensano che sia “normale” andare a 2.300 metri, con le infradito ed il maglioncino. Così quando scendono dall’auto si lamentano che “è freschino, però…”.
Inutile dire che abbiamo chiuso gli occhi, attraversato alla velocità della luce e siamo scappati oltre. Verso il rifugio Lavaredo ed alla forcella tornando il più in fretta possibile sull’amato versante altoatesino.
Se parliamo di turismo in montagna, personalmente ho due certezze:
La montagna in Alto Adige è al centro di tutto. È un elemento identitario, attorno al quale hanno costruito una strategia territoriale complessiva, fatta di valori, di tradizioni mescolate al giusto elemento di modernità, di rispetto. Si parte dal concetto che in montagna niente è semplice o gratuito, ma te lo devi conquistare; mentre lo conquisti, inizi a comprendere e capire il contesto complessivo. E quindi è naturale salutare le persone che come te si stanno conquistando il loro piccolo trofeo, è naturale rispettare i ritmi ed i tempi della montagna, anche quando arrivi in rifugio, perché sai che tutte le persone che sono attorno a te hanno fatto la tua stessa fatica. E magari impari ad attendere con tranquillità al bancone, che non sei al bar nello stress milanese, ad apprezzare l’esperienza perché te la sei guadagnata, e te la vuoi godere fino in fondo, con ritmi ed attitudini diversi.
Se invece paghi 20€ per fare quei sette chilometri di strada che ti portano in quota, e quando parcheggi ti pare di stare al centro commerciale, è inevitabile che il tuo atteggiamento sarà radicalmente diverso. E magari ti scatta l’atteggiamento “Lavoro — Guadagno — Pago — Pretendo” che è l’esatto opposto di quello che si aspetta in montagna.
Il successo o il fallimento delle strategie di destinazione dipende anche, o forse soprattutto, dalla capacità di costruire l’offerta sulle aspettative del turista. Allora si tratta di scegliere su cosa vogliamo puntare, su un turismo sostenibile e di qualità oppure su un turismo mordi e fuggi e fuori contesto?
In Alto Adige la stagione estiva parte a maggio e finisce a ottobre. I tedeschi vengono soprattutto nelle stagioni in cui non ci sono gli italiani, ma sul versante veneto delle Dolomiti non ne trovi uno a morire. A settembre, quando a Montebelluna o Pordenone i centri commerciali tornano a lavorare a pieno regime, le valli del Cadore si svuotano immediatamente, anche nei week end.
Il lago Sorapiss, non ci credi finché non vedi
La cosa incredibile è che le Dolomiti venete sono in assoluto le più belle.
“Antelao, chi era costui?” verrebbe da dire citando una cima fantastica che nessuno conosce.
Il lago di Sorapiss è un posto pazzesco, a due passi da Cortina. Che ci crediate o no, l’acqua è proprio di quel colore lì; ecco, magari è un po’ freschina… 😀.
Civetta, Cristallo, Croda da Lago luoghi incantati che non hanno niente da invidiare alla Marmolada (mezza veneta, peraltro, con tanto di funivia che ti porta a 3.200), Catinaccio o Odle.
Parliamo di due regioni che hanno saputo valorizzare il turismo. L’Alto Adige ponendolo al centro del proprio progetto identitario. Il Veneto puntando sulle sue straordinarie eccellenze. Da Venezia alle città d’arte, dal mare al lago di Garda, il Veneto è uno dei motori dell’industria turistica italiana, in testa a tutte le classifiche di presenze sia nazionali che internazionali. Comprensibile (ma non accettabile) che si dimentichino dei “monti pallidi”; le Dolomiti venete stanno in una provincia (Belluno) che in Veneto non ha mai contato niente e che si trova la concorrenza delle due corazzate Trentino ed Alto Adige.
L’approccio regionale al turismo in questo caso dimostra tutti i suoi limiti. Possibile che ci sia tutta questa differenza, passando da un lato all’altro della stessa montagna? Che la colpa sia solo legata ad una diversa disponibilità di risorse mi pare una risposta facilona. Lavorando assieme, lavorando come Dolomiti e con un prodotto di turismo montano moderno e completo, partendo dalle passioni e dalle esperienze (che sono le stesse, su entrambi i lati della montagna) si potrebbe migliorare ulteriormente la situazione attuale, peraltro già eccellente almeno per la componente altoatesina.
Di certo il modello “Rifugio Auronzo” non porterà da nessuna parte. Riempirà anche quel rifugio per i due mesi buoni dell’anno, ma contribuirà a mantenere alcune delle valli più belle d’Italia nell’oblio turistico complessivo. Non sono certo il primo a dirlo, non sarò l’ultimo. Ma dovremo ripeterlo ancora e ancora, non sia mai che qualcuno prima o poi capisca.