Alla ricerca di luoghi poco affollati
Lo ammetto, faccio tanta fatica. Faccio fatica a rendermi conto di quanto importante e rapida sia la trasformazione che stiamo vivendo.
Scrivevo solo pochi mesi fa: “La sostenibilità è diventata pop! Greta Thunberg ne è la star, è il personaggio carismatico in grado di rappresentare la sensibilità crescente di milioni di persone in tutto il mondo.”
“Greta chi?” mi verrebbe da dire oggi. La crisi ha cancellato dall’attenzione generale ogni altro argomento diverso dal Coronavirus. È comprensibile, ma è un grande problema.
Che ne è stato dei #Fridaysforfuture? Che ne è stato della crescita della sensibilità ambientale che doveva permetterci di correggere le distorsioni di un modello economico e di sviluppo che ha la vista corta? Se non interveniamo siamo destinati ad andare incontro in pochi anni ad un’altra crisi, ambientale, diversa ma forse ancora peggiore di quella attuale.
Il panorama è cambiato radicalmente. L’attenzione delle persone è altrove, trasformata con una rapidità che non ha precedenti.
L’impatto sul turismo è a dir poco drammatico. La stagione primaverile è saltata integralmente, per l’estate le incognite sono ancora tantissime (e tendenti al brutto). E cominciano ad affacciarsi i timori per la stagione invernale.
L’incertezza riguarda principalmente gli arrivi, se e quanta gente viaggerà non appena le condizioni diverranno praticabili. Ma riguarda anche i costi per garantire il servizio. I protocolli non sono ancora pronti ma è ormai evidente che gli impatti saranno importanti. Ci saranno costi per i nuovi servizi: sanificazioni, infrastrutture che garantiscano il distanziamento, personale aggiuntivo ecc.. Ci saranno impatti in termini di organizzazioni dei servizi: rinuncia al buffet, gestione dei momenti di assembramento, revisione dei servizi di animazione, gestione attività comuni ecc.. E poi ci sono i rischi: che succede se a metà luglio scatta un nuovo lockdown?
Nell’incertezza complessiva, una cosa è sicura: relativamente all’offerta di servizi, questa crisi ci sta portando indietro dieci anni nella sensibilità verso la sostenibilità ambientale.
E, in uno scenario più ampio, i grandi inquinatori del pianeta sono pronti a riprendersi le loro posizioni un po’ vacillanti con la scusa della crisi economica e della necessità di ripartire.
È evidente che, nell’incertezza e nell’urgenza di trovare risposte ad una situazione drammatica, si va dritti alla soluzione più facile, senza farsi sfiorare da troppi dubbi.
Questo ragionamento rischia però di avere vita breve. Il 2020 sarà un anno molto critico in cui la priorità sarà la sopravvivenza. Tutte le aziende che possono permetterselo dovrebbero però iniziare a ragionare, sin da subito, sul medio e lungo periodo. E soprattutto dovrebbero farlo le destinazioni.
Uno dei più importanti elementi che sta emergendo dalle prime analisi sulla diffusione del virus è la potenziale correlazione con il livello di inquinamento delle zone più colpite. I territori più inquinati sembrano essere maggiormente soggetti al virus, la cui diffusione pare essere agevolata dalla presenza delle polveri sottili. La scienza procede doverosamente a passi lenti, la ricerca prevede molte verifiche prima di poter confermare le ipotesi. Diversa è invece la percezione delle persone, e la discussione in merito al fatto che la pandemia ci renderà più o meno sensibili al cambiamento climatico è aperta.
Personalmente sono convinto che questa ferita ci resterà dentro. Col tempo assoceremo la pandemia al nostro stile di vita irrispettoso per il pianeta, e la nostra sensibilità verso le tematiche ambientali crescerà.
Peraltro dovremo preoccuparcene anche adesso, ma il fatto che il Po in aprile sia ai livelli di agosto, che al Polo ci siano anomalie termiche dai 10° ai 20°C non fa notizia: caspita, c’è il Coronavirus.
Anche le destinazioni sono in grande difficoltà, e quelle che si stanno muovendo lo fanno con passi incerti. La lungimiranza non pare essere al momento la virtù più considerata. Qui in Trentino, invece che dare supporto ad una imprenditorialità diffusa e radicata sul territorio in evidente crisi, si pensa solo a liberalizzare aree protette e permettere scempi fronte lago. L’unica idea è copiare i vicini altoatesini: loro hanno più hotel 5 stelle dei trentini, recuperiamo perdinci.
Eppure questo sarebbe il momento perfetto per fare uno scatto verso il futuro, per proiettarci verso il turismo che verrà. Ogni analisi uscita in questi giorni non fa altro che confermare l’ovvio: la gente è spaventata dalle situazioni di affollamento, e cerca luoghi poco frequentati, aria aperta, natura.
È arrivato il momento per le destinazioni di riprendersi quel ruolo di regia territoriale che spesso hanno perso. Qui in Trentino andiamo avanti da anni alla ricerca di una nuova “upper middle class metropolitana” proponendo un messaggio pensato per un turista che in realtà non si è mai visto.
Mi piace sperare che questa crisi ci permetterà di tornare ad un modello di promozione turistica più vicino alla realtà dell’offerta e, soprattutto, ai nuovi bisogni dei turisti. La destinazione si deve porre come guida, intercettando e facendo proprie le istanze che vengono dagli operatori e dai territori. La destinazione deve dare al messaggio una prospettiva coerente con i valori espressi dal territorio.
I nuovi bisogni dei turisti sono la fuga dai luoghi affollati, la ricerca di spazi non contaminati, la ricerca della natura, la voglia di stare in spazi aperti, un ritorno ad un equilibrio che avevamo perso.
Ma non basta. Non basta avere un luogo dove la natura la fa da padrona, il turista del futuro andrà a cercare quei luoghi dove l’intervento dell’uomo è presente, con una azione di tutela e di ripristino, invece che di degrado. Sto pensando ai parchi ed a tutte le aree protette, ma anche ai territori che hanno saputo resistere alla cementificazione ed allo sfruttamento sfrenato delle risorse, ai servizi costruiti con l’attenzione per il contesto in cui sono inseriti, in parole povere quei territori che hanno saputo combinare sviluppo con sostenibilità.
Ci sono tanti esempi in Italia, soprattutto imprenditori che hanno capito per tempo la situazione, ma tanto andrebbe ancora fatto. Questa potrebbe essere la visione di lungo periodo per dare una prospettiva al turismo terremotato dalla pandemia. Un futuro fatto di destinazioni che si fanno promotrici di un nuovo prodotto e di un nuovo messaggio. Destinazioni che spingono un nuovo turismo, più lento, più rispettoso, più diffuso. Destinazioni che supportano il territorio creando le condizioni per lo sviluppo sostenibile di questi servizi.
L’alternativa, dopo la crisi, è di tornare ad un turismo ancora più sbilanciato, con i soliti luoghi drogati da overtourism in contrapposizione a quei territori che la crisi non l’hanno potuta o saputa gestire, destinati ad essere sempre più emarginati.