La narrazione di un territorio: il caso #triestesocial

Il team di triestesocial

Il team di triestesocial




Come essere (felicemente) smentito dalla realtà dei fatti.

 

Il modo di raccontare un territorio, di presentare una offerta turistica, di promuovere una destinazione è cambiato negli ultimi anni. Grazie alla pervasività dei social network ed al contributo portato da visitatori e residenti, si sono unite una pluralità di voci, portando ad un sostanziale cambiamento nella comunicazione. Nuovi canali si sono imposti, nuovi strumenti si sono sommati a quelli tradizionalmente in uso.

Le organizzazioni che hanno il compito di valorizzare un territorio (DMO, APT, consorzi, operatori) si trovano ad affrontare una sfida ogni giorno più complessa.
Le DMO o APT sono tipicamente enti che usano le risorse a disposizione con un approccio da “ente pubblico”: iperburocratizzazione, vincoli di ogni tipo, nessun stimolo a inventiva o iniziativa personale, orari rigidi, incapacità di valorizzare i casi di eccellenza, indifferenza rispetto a chi si impegna più della norma, limitano la capacità di agire in modo efficace.

Le organizzazioni private invece (consorzi di albergatori/operatori di vario tipo) hanno tipicamente una struttura diversa, caratterizzata da molti meno vincoli ma spesso in carenza di risorse sia economiche che professionali, essendo legata a contributi volontaristici, apprezzabili per lo sforzo ma poco focalizzati. I tour operator sono invece incentrati sull’offerta e trascurano la narrazione del contesto.
Date queste premesse, non può stupire che la qualità della valorizzazione del territorio in Italia non sia al livello delle aspettative. Il servizio pubblico non ci riesce, perché drammaticamente incatenato in vincoli e burocrazia. Il privato non ci riesce perché senza risorse o competenze.
C’è un modello che cerca di mettere insieme i due mondi, il “social media team diffuso”. L’idea è molto semplice: fare in modo che la comunicazione sia in mano ad operatori e residenti di un territorio, con una regia diffusa e condivisa. Per raccontare un territorio servono le storie di chi lo ha vissuto, raccontate con passione e con orgoglio, con gli occhi del residente e con la partecipazione del turista.

Io, onestamente, non ci ho mai creduto. Non parlo del modello in sé, che trovo straordinario, ma della possibilità di farlo funzionare in Italia, di riuscire a mettere assieme una partecipazione significativa di attori diversi, di coordinare esperienze diverse in una visione unica, senza avere alle spalle una organizzazione centralizzata capace di gestire il processo, con le risorse e le competenze del caso.

Ogni tanto è bello dirlo: sono felice di essermi sbagliato. Ho conosciuto recentemente il progetto #triestesocial e le persone che ci lavorano, mi è capitato di interagire con loro, a partire dalle due “scatenate” ideatrici, Rosy Russo e Giovanna Tinunin, che hanno avviato il progetto, ed hanno avuto la capacità di aggregare attorno al progetto un gruppo di persone di qualità. Dal ricercatore alla mamma tuttofare, dall’albergatore alla giornalista, dal blogger all’imprenditore, dall’esperto di comunicazione alla studentessa, dalla viaggiatrice incallita al fotografo professionale, dal triestino di mille generazione alla residente temporanea innamorata della città: tutti animati da un elemento comune, la passione per la propria città e la volontà di condividerla con gli altri.
Passione è la parola chiave. Non si può raccontare un territorio con disinteresse, disaffezione, controvoglia.

Non so quale sia la vostra idea di ufficio pubblico ma gli uffici di DMO e APT sono generalmente governati con le stesso regole degli uffici dell’INPS o dei ministeri. Chiedere alle persone che ci lavorano di “metterci passione” è davvero difficile.
Invece #triestesocial riesce a raccontare il territorio in modo diverso. Non solo il mare, per capirci.

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Ma anche tante storie “fuori dagli schemi”, ed emozioni, e sensazioni, vissute personalmente da chi le vive e non filtrate dalla lente della destinazione.

Ma il vero segnale del successo è la partecipazione, oltre che del gruppo “ufficiale”, anche di residenti e viaggiatori che hanno trovato in #triestesocial un luogo virtuale dove depositare le loro esperienze, presenti o passate.

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Relax #dario61ts #trieste #triestesocial #myts #ponterosso

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Perché, “#TriesteSocial è, prima di tutto un hashtag […] trasversale e si può ritrovare su diverse […] piazze virtuali dove si ritrovano e scambiano opinioni, esperienze e idee milioni di persone, in Italia e nel mondo.”
Questa definizione interpreta lo spirito e rappresenta le modalità di approccio corretto alla rappresentazione e narrazione di un territorio, così come si è evoluta negli anni. Ed è un esempio che mi piacerebbe trovare in tante altre destinazioni italiane.

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