La sede di Trento Rise nel 2015
Mi sveglio presto. Sono nervoso, inquieto. Non è un giorno qualsiasi, non è un giorno come tanti.
Apro la finestra, non entra neanche un raggio di luce, fuori è buio. È il 21 dicembre, la notte più lunga dell’anno. È il giorno in cui inizia l’inverno, dalla finestra entra aria fredda, ma quest’anno non c’è neve e l’unica sensazione che mi trasmette è “gelo”.
Penso tra me e me che è la giornata “perfetta”: tra un paio d’ore firmerò il documento in cui Trento RISE “risolve unilateralmente ed anticipatamente il rapporto di lavoro”, detta in parole semplici, mi licenzia. Non ce l’hanno con me in particolare, sono in larga compagnia. Di oltre cento collaboratori di un anno fa, ora ne restano meno di una decina.
La favola della società della conoscenza, il polo dell’eccellenza nato cinque anni fa con l’obiettivo di portare a Trento il meglio dell’innovazione per tramite dell’agenzia dell’innovazione europea, chiude tra pochi giorni. Travolta dalle inchieste della finanza, nell’indifferenza della politica incapace di trovare alternative, nelle mani di una classe dirigente che dimostra tutti i suoi limiti, Trento RISE chiude portando con sé gran parte della progettualità sperimentata in questi anni.
“Era ora”, penso tra me e me, perché della trafila di questi ultimi mesi ne avrei fatto volentieri a meno. Noi “tecnici” ci abbiamo provato fino all’ultimo. Forse siamo stati dei pazzi visionari, forse solamente poco accorti e ci siamo disperatamente aggrappati alle notizie positive, messe in giro ad arte da chi in realtà lavorava per la soluzione più drastica.
L’idea iniziale era meravigliosa, ne sono ancora innamorato. Partire dalle persone e dai loro bisogni, usare la tecnologia per cercare le risposte. Mettere insieme gli ambiti più rilevanti per un territorio in una visione di insieme: ambiente, salute, energia, turismo, cultura, gli aspetti fondanti della nostra economia. Investire sulle persone, con l’attrazione di talenti e percorsi di alta formazione interdisciplinare. Un programma pluriennale, che non può dare risposte nel breve periodo. Ma la politica è impaziente, i localismi non aiutano, le guerre intestine e gli errori madornali hanno incrinato la nostra credibilità, e nessuno si è sentito di contrastare l’unica soluzione facile: chiudere.
È difficile vedere giorno dopo giorno che tutto quello per cui ho lavorato negli ultimi quattro anni viene buttato nel nulla. E corro con la testa all’esperienza fantastica che è stata, alle illusioni dei momenti buoni, all’idea di portare il meglio del Trentino a livello nazionale, ai volti e alle magie delle persone che mi hanno accompagnato in questo percorso.
Troppa gente mi dice cose tipo “ma cosa vuoi che sia per uno come te…” oppure “troverai subito…”. In momenti come questi apprezzi le pacche sulle spalle, quelli che cercano di capire, quelli che ti ascoltano in silenzio, quelli che ti dicono di non mollare. Ma non quelli che fanno finta di niente e cercano di cavarsela con una battuta: con loro sarò educato, ma non sorriderò, non oggi almeno.
Non voglio sottrarmi alle mie responsabilità, e pensare che sia solo colpa di altri, e sento sulle mie spalle tutto il peso del fallimento. Ho avuto una chance incredibile, mi sono giocato le mie carte, ma alla fine il piatto è vuoto. Mi sono riempito la bocca con parole come “innovazione” e “eccellenza”, associandole spesso al mio Trentino. Ma ora riesco a pensare solo a un grande bluff.
Da trentino purosangue, qualche mese ero stato ferito da un imprenditore che mi aveva detto: “Non siamo venuti in Trentino per i soldi, ma perché eravamo convinti di trovare visione, trasparenza, moralità e stabilità delle scelte. In realtà avete solo i soldi.” Tutte le generalizzazioni sono sbagliate, ma se penso alla storia di Trento RISE purtroppo aveva ragione lui.
Il 21 dicembre è anche un giorno di magie e di leggende. È un giorno di rottura, di inversione. Inizia il periodo più freddo dell’anno, allo stesso tempo le giornate cominciano ad allungarsi.
L’altro giorno scherzando su Facebook ho scritto
In questi lunghi mesi ho iniziato a pensare che vorrei che le mie figlie crescessero all’estero, vorrei poter garantire loro che verranno apprezzate per quello che sanno fare, senza i condizionamenti e le paranoie tutte italiane.
Per Natale quest’anno regalerò alberi. Ho bisogno di ripartire, ho bisogno di piantare un seme nuovo su un terreno fertile, sperando che faccia frutti.
Oggi è il giorno più corto dell’anno.
Ma già domani sarà meglio.