Il turismo degli anni ’60
Negli anni sessanta la Versilia era una delle destinazioni italiane più in voga. Rispondeva alla richiesta di mare e di successo dell’Italia del boom economico con una offerta articolata che partiva dalle spiagge per arrivare ai locali ed alla bella vita della Capannina. Viareggio e Forte dei Marmi si distinguevano per la loro offerta che abbinava alla classica “vacanza al mare” anche classe, lusso ed eleganza.
In montagna, la stessa situazione avveniva in Veneto dove Cortina si imponeva come la perla delle Dolomiti, luogo celebrato non solo per la straordinarietà delle sue montagne ma anche per quell’atmosfera di elite e di classe che la distingueva dal resto dell’offerta montana.
In cinquant’anni tante cose sono cambiate, dal modo di viaggiare alle esigenze del turista, ed altri modelli si sono sviluppati.
“Squadra che vince non si cambia” devono aver pensato gli amministratori del turismo sia in Versilia che a Cortina, visto che il modello di riferimento è rimasto praticamente lo stesso malgrado la straordinaria trasformazione avvenuta nel turismo in questi cinquant’anni.
Non tutti sono stati fermi. La Romagna per esempio ha saputo cambiare radicalmente il suo DNA turistico, trasformando l’offerta: non più solo una proposta che abbinava al mare la qualità dell’accoglienza e del viver e mangiar bene, ma una radicale trasformazione da destinazione di mare a enorme attrazione turistica, dove il mare è ormai solo una delle componenti, quasi minoritaria.
Lo stesso è avvenuto nelle Dolomiti, dove il fascino ed il glamour di Cortina sono stati rimpiazzati dai modelli inclusivi dell’Alto Adige e (in parte) del Trentino, che hanno saputo puntare su una riqualificazione totale della struttura di offerta e su modelli di turismo rinnovati.
Il turismo montano moderno
Il turismo montano infatti ha puntato fortemente sul concetto di vacanza attiva; in estate laghi e montagne fino a 30 anni fa erano la meta di vecchietti che venivano “ai freschi” (per andar per funghi, e con moderazione); oggi brulicano di camminatori, ciclisti, velisti e base jumper che cercano emozione, attività, energia.
In inverno la vera rivoluzione è arrivata con la neve programmata che ha permesso, negli ultimi 20 anni, di garantire un innevamento di qualità sulle piste indipendentemente dalle condizioni atmosferiche.
Un modello vincente, che però è ad alto rischio per una serie di fattori.
Il rischi del turismo della neve
Il primo è relativo alla capacità degli sport della neve di restare attrattivi per nuove fasce di utenti.

La situazione delle piste, il 27 dicembre.
La neve programmata è una (straordinaria) soluzione per gli appassionati di oggi, gli amanti di questi sport che, pur di vivere l’emozione dello sci, accettano panorami come questo. Lo scenario è però sostenibile solo nel breve periodo, è impensabile che lo sci possa attrarre appassionati nel tempo se la situazione rimane questa.
La seconda ragione è invece economica: la manutenzione degli impianti e la produzione della neve artificiale comporta costi importanti che stanno mettendo in difficoltà gli operatori del settore. Le società impianti sono spesso in rosso tanto da stare in piedi solo grazie a generosi interventi del pubblico.
Peraltro la neve programmata non è una soluzione valida in ogni circostanza. Oltre alla predisposizione dell’infrastruttura e la disponibilità dell’acqua, servono le temperature giuste. Nel 2016 la situazione è stata abbastanza buona, ma negli ultimi dieci anni si sono verificate varie situazioni in cui, fino a Natale e anche oltre, le temperature autunnali e la pioggia di dicembre non permettevano di preparare le piste, soprattutto per le località “basse”.

Temperature massime il 26 dicembre. Fonte Associazione MeteoNetwork Onlus
Ci sono anche tentativi di “produrre neve a 15° gradi”. A me ricordano gli ultimi produttori di carrozze che cercano di risolvere problemi nuovi con soluzioni vecchie.
L’impatto ambientale
Senza dimenticare l’impatto ambientale. Perché è vero che nel tempo le soluzioni sono migliorate con la predisposizione per esempio di bacini di raccolta per un consumo di acqua razionalizzato, ma l’impatto resta significativo e la continua crescita della sensibilità ambientale sarà un ulteriore deterrente in merito. Non si sono ancora spente le polemiche per i 100.000 metri cubi di neve artificiale prodotta per la Marcialonga 2016 (una montagna!) e le centinaia di camion che l’hanno trasportata su e giù per le valli di Fiemme e di Fassa che già si pensa al 2017, finora senza neve.
Che fare, quindi?
Si deve avviare, oggi, una strategia turistica alternativa che guardi lontano, da qui a venti o trent’anni, che provi ad immaginare un turismo invernale in cui la neve non è più “il fattore fondamentale” per andare in montagna. Creare motivazioni di vacanza alternative, perché se a Natale ci sono 15° (come in questi giorni), ci sono un sacco di attività straordinarie da fare.
Purtroppo i modelli turistici dominanti sono ancora improntati al mantenimento dello status quo, allo sfruttamento fino al midollo di un approccio che dimostra evidenti limiti. Se guardo all’esempio italiano, gli unici che stanno provando a creare delle condizioni di sostenibilità sono i cugini altoatesini. Negli ultimi vent’anni l’offerta ricettiva è cambiata radicalmente, con investimenti significativi nella qualità dell’accoglienza, nella diversificazione dei servizi offerti dalle strutture, nell’eccellenza dei servizi terzi, dalla ristorazione alla tutela del paesaggio.
Se facciamo un confronto con tutte le altre destinazioni alpine, non c’è storia. Dal numero di alberghi di qualità, al numero di impianti wellness, ai ristoranti stellati, ai vini premiati, ai prodotti del territorio tutelati, al mantenimento dell’identità e delle tradizioni, l’Alto Adige è vincente su tutta la linea. Ha avviato, oltre venti anni fa, una trasformazione progressiva che ancora oggi prosegue. La cosa straordinaria è che questo modello è allo stesso tempo una speranza per il futuro ma una certezza per il presente, in cui gli investimenti degli ultimi vent’anni stanno già dando significativi risultati.
Modelli alternativi
Ci sono anche modelli più radicali, località che hanno provato a “cambiare davvero” e stanno avendo successo. Parlo per esempio delle destinazioni senz’auto (da Zermatt ad Avoriaz, da Oberlech all’Alpe di Siusi), oppure alle iniziative legate alla limitazione di pratiche poco sostenibili o impattanti (dall’eliski alle motoslitte).
Trovare la soluzione non è semplice, identificare e avviare modelli turistici alternativi la cui efficacia si capirà solo col tempo non è immediato. Ma è ora di iniziare a pensarci, di concepire piani strategici pluriennali che prevedano non solo la salvaguardia/ottimizzazione dell’offerta turistica attuale, ma anche la nascita del turismo del futuro, che dovrà riscoprire la tutela del territorio e valorizzare stili di turismo più compatibili e sostenibili. Altrimenti il rischio è di ritrovarsi ad essere nobili decadute, come Viareggio dei tempi nostri, dove gli alberghi storici ed i palazzi liberty dei tempi buoni, ormai invecchiati, fanno da tristi testimoni di uno splendore che non c’è più.
E la neve?

Le nevicate della stagione 2014/2015: che nostalgia
La neve ci sarà sempre, e ci saranno ancora annate meravigliose (l’ultima, due anni fa). Solo che non sarà più “scontata”, l’industria turistica invernale dovrà costruire gli anticorpi non tanto in termini di produzione di neve ma di organizzazione di esperienze alternative, anche sfruttando il trend di trasformazione delle temperature (in rialzo) e delle relative giornate pulite.
Come in questi giorni, che pare primavera.